L’intervento di chirurgia estetica e la responsabilità medica

Se sei atterrato su questo articolo, stai cercando informazioni più dettagliate su quali sono le responsabilità dei medici negli interventi di chirurgia estetica che non siano ritenuti soddisfacenti da parte del paziente. E’ probabile che questo sia il tuo caso o, magari, ti stai giustamente premunendo in vista di un’operazione che stai valutando di fare nel prossimo futuro per risolvere quel piccolo difetto. Chirurgia estetica e responsabilità medica correlata sono dei temi molto dibattuti negli ultimi anni, soprattutto da quando gli interventi per migliorie del proprio corpo non sono rimasti ad appannaggio del solo mondo di star e vip, ma sono entrati a far parte anche delle abitudini di molte persone comuni: cerchiamo dunque di fare chiarezze su quali sono le leggi che regolano le operazioni di natura estetica e quali sono le tutele sia per chi esegue le operazioni, sia per le persone sottoposte alle operazioni stesse.

 

Responsabilità dei chirurghi estetici: in quali casi?

Si consideri che come in ogni altro campo medico, i chirurghi estetici devono attenersi ad un intervento che rispetti prudenza, diligenza e perizia nei mezzi utilizzati, ma non ci sono stretti collegamenti con il risultato che il paziente si aspetta di ottenere. Questo significa che dal punto di vista della legge, un intervento che non provochi gli effetti sperati non basta a motivare una responsabilità da parte del professionista. Nel caso opposto invece, in cui ci sia prova del comportamento non diligente, di una procedura non prudente e un intervento svolto con imperizia, ecco che il paziente può rivalersi e richiedere un risarcimento dei danni.

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Quali leggi si devono considerare?

Si deve valutare che la chirurgia estetica non rientra in quei casi di trattamento sanitario obbligatorio stabiliti per legge. In questo senso il campo per alcune interpretazioni è aperto: partendo da alcuni punti fondamentali presenti nella nostra Costituzione, si consideri che l’art.32 al comma 2 stabilisce “che nessuno possa essere sottoposto, contro la sua volontà, a qualsivoglia tipo di cura”. Lo stesso vale per l’articolo 5 che stabilisce che ogni individuo ha diritto a disporre del proprio corpo come meglio crede (si fa eccezione per comportamenti che non siano contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume). Questo tende a far pensare che la chirurgia estetica debba per forza di cose avvicinarsi al concetto di risultato, e non di mezzi utilizzati per raggiungerli. In questo senso, la Giurisprudenza ha percorso strade e vie non sempre universali per sbrogliare i contenziosi. In un primo momento, l’impostazione tendente al risultato da ottenere ha prevalso: questo voleva dire per il chirurgo plastico avere l’onere di dimostrare che gli interventi eseguiti non fossero stati macchiati da errori o più in generale, che i difetti riscontrati dal soggetto danneggiato non fossero dipesi da una procedura eseguita in maniera sbagliata dal professionista. Alcune sentenze della Corte di Cassazione nei primi anni ‘90 attestavano in sostanza la responsabilità del chirurgo, soprattutto nel caso le tecniche utilizzate non fossero in linea con il progresso raggiunto nella materia in questione.

In un secondo momento, l’approccio, che è da ritenere quello ancora in voga, si è modificato ed è divenuto quello dominante: il chirurgo estetico è tenuto all’obbligo sui mezzi, non più sul risultato. Questo significa che il professionista non risponde del mancato ottenimento dei miglioramenti sperati dal paziente: egli non viene chiamato ad assicurare che il risultato sia quello voluto, ma solo e soltanto che i mezzi utilizzati siano quelli che assicurino la possibilità di eseguire l’intervento con la massima perizia, diligenza e prudenza. Questa tipologia di approccio è motivato anche dal cambio di prospettiva rispetto a questa tipologia di interventi che vanno ad essere collocati, non per la loro valenza curativa, ma per quella di natura prettamente cosmetica.

chirurgia estetica

Consenso informato: cos’è?

In questa direzione va inteso l’introduzione del cosiddetto consenso informato, inserito nella materia per garantire un maggiore equilibrio nella presa di coscienza e responsabilità in merito ad un intervento da non considerarsi curativo. In questo senso, si stabilisce che il medico non debba garantire la risoluzione della problematica del paziente, ma si obbliga il professionista a tenere un comportamento che punti alla guarigione o al miglioramento delle condizioni del soggetto sottoposto ad intervento.

Il consenso informato diviene dunque un ulteriore obbligo fondamentale per il chirurgo: il paziente va informato in maniera corretta tramite una dettagliata descrizione su quale risultato sarà possibile ottenere con l’operazione, con quali modalità sarà eseguito, esporre i rischi che si corrono e l’eventualità che le conseguenze dell’intervento stesso possano essere irreversibili. Dal canto suo, il paziente deve recepire in maniera attenta alle informazioni riferitegli in modo da poter scegliere in maniera consapevole e informata sugli scenari che gli sono stati paventati e procedere o meno con l’operazione. Questo deve avvenire pertanto in maniera esauriente e dettagliata e la possibilità di passare alla fase operativa è condizionata in maniera stringente alla fase informativa e la relativa accettazione.

 

In quali casi si può richiedere e ottenere un risarcimento dei danni?

Ma quali sono i casi in cui si può richiedere risarcimento danni? Si consideri che quando il consenso non è realmente prestato il medico può essere tenuto al risarcimento dei danni, anche se la procedura seguita sia stata perfetta e l’intervento venga ritenuto corretto. Ci sono diverse sentenze della Corte di Cassazione su operazioni eseguite a regola d’arte ma che avevano lasciato dei segni evidenti di cui il paziente non era stato informato. Questa mancata delucidazione e chiarimento nella fase preoperatoria può comportare la possibilità che il medico venga ritenuto responsabile. Sul risarcimento, va detto che il chirurgo non è obbligato al rimborso della somma riguardante la prestazione eseguita, ma anche i danni sulle componenti patrimoniali e non del soggetto, in cui rientrano le problematiche di natura psicologica, di mancati incassi e profitti collegati alla degenza obbligata o ai danni estetici generati dall’operazione.

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