La professione dello psicologo, entrata nel novero di quelle sanitarie nel 2017, è da anni al centro dell’attenzione mediatica. Soprattutto dopo la pandemia, la richiesta di consulenze psicologiche è aumentata notevolmente, complice la possibilità di interagire con i professionisti attraverso numerosi mezzi online.
Questa esposizione mediatica sta portando tantissimi giovani a valutare la possibilità di intraprendere la strada professionale in questione. Prima di procedere, è importante documentarsi in merito ai numeri di questo mondo, ma anche agli step da finalizzare dal punto di vista formativo, anche dopo la laurea e l’abilitazione.
La propensione allo studio e all'aggiornamento continuo anche una volta terminato il percorso accademico – non solo con i seminari ma anche con l'obbligatoria formazione a distanza per gli psicologi, i cui corsi si possono consultare nel sito ebookecm.it – è un requisito fondamentale per chi decide di intraprendere la strada della laurea in psicologia.
I dati risalenti al 2019, parlano di circa 6500 laureati magistrali all’anno. Si tratta di un numero che non è sufficiente per poter parlare di ricambio generazionale efficace. Ogni anno – parliamo sempre di un dato di quattro anni fa – sono circa 1000 gli psicologi che lasciano la professione per sopraggiunti limiti di età pensionabile.
Dati che fanno riflettere
Nonostante l’aumento dell’esposizione mediatica e l’abbattimento di numerosi tabù sulle difficoltà mentali – di salute mentale si parla sempre di più, per fortuna, anche grazie alle scelte comunicative di alcuni influencer – la professione dello psicologo sta vivendo, in Italia, un periodo non certo felice.
Guardando ai dati del 2017, circa il 45% dei laureati in psicologia non esercitava la professione. Molti dei possessori del titolo di studio, secondo i dati ISTAT, ai tempi risultavano impiegati come operatori della riabilitazione.
Sempre sulla base dei dati ISTAT risalenti al 2017, molti laureati in psicologia che hanno deciso di non intraprendere la professione sanitaria hanno utilizzato, per entrare sul mercato del lavoro, il proprio diploma, intraprendendo carriere come ragionieri o geometri.
Il problema del reddito
Gli psicologi sono, in confronto a tutte le altre categorie lavorative iscritte a un ordine, quella con reddito più basso. Se si guarda ai dati forniti dall’ENPAP, l’ente previdenziale di riferimento per la categoria, uno psicologo guadagna, in media, 14000 euro annui.
Degno di nota è il consistente divario di genere. Se si osservano i numeri della Lombardia, la Regione dove opera circa un quinto degli psicologi attivi a livello nazionale, è possibile parlare di reddito medio pari a 17700 euro per le professioniste di sesso femminile e di oltre 24000 per gli uomini.
Attenzione: le cose possono cambiare anche a seconda della tipologia di servizio erogata dallo psicologo. Un esame psicodiagnostico, per esempio, ha un costo decisamente superiore rispetto a quello di una singola seduta.
Lo stesso si può dire per le situazioni in cui lo psicologo si occupa del benessere interiore dei membri di squadre sportive di spicco (in questi casi, il professionista può guadagnare fino a 1000 euro al giorno).
I dati sopra menzionati, che portano senza dubbio a riflettere sulla sostenibilità economica della professione, sono frutto di un livello di concorrenza molto alto. Di decennio in decennio, infatti, raddoppia il numero di iscritti all’Ordine. Nel 1994 erano 23mila, nel 2004 48mila. Dieci anni dopo, ossia nel 2014, l’Ordine ha raggiunto la quota di 92mila iscritti. Nel 2017, le iscrizioni ufficiali erano oltre 111mila.
Si tratta, a tutti gli effetti, di una crescita esponenziale, che ha portato, nel 2017, il nostro Paese a essere caratterizzato dalla presenza di uno psicologo ogni 550 abitanti. Confrontando, ai tempi, questo dato con quello medio europeo, è stato possibile notare come, in Italia, i numeri fossero doppi (fonte: Commissione Europea, 2015).
Negli ultimi anni, si sono alzate diverse voci a chiedere modifiche alle normative nazionali riguardanti l’accesso alla professione. Si tratta di una vera e propria emergenza dato che, in considerazione dei dati sopra menzionati relativi ai laureati in psicologia che non esercitano la professione, si ha a che fare con un vero e proprio costo improduttivo che, nel 2017, corrispondeva a oltre 150 milioni di euro annui.
Si richiede, alla luce di ciò, un intervento sull’esame di Stato finalizzato al raggiungimento di un equilibrio tra i professionisti abilitati e quelli che, invece, raggiungono l’età pensionabile ed escono dal mercato del lavoro. Ad oggi, il numero di abilitati è definibile come sproporzionato e non permette, nella maggior parte dei casi, a chi si affaccia alla professione di avere la garanzia di entrate economiche sufficienti.