La sindrome di Stoccolma: un sentimento positivo nei confronti dell’aggressore

L’instaurarsi di rapporti affettivi tra vittima e aggressore è uno dei temi più dibattuti nell’ambito della psicologia, non essendo ad oggi del tutto chiaro il meccanismo per il quale un soggetto arrivi a porre in essere un simile atteggiamento.

Questo paradosso comportamentale, noto come “sindrome di Stoccolma“, si concretizza in una sensazione di empatia che la vittima prova nei confronti del suo aggressore, il quale, in certi casi, si ritrova a ricambiare il sentimento.

 

Origine del termine

La denominazione “sindrome di Stoccolma” di questo particolare stato di dipendenza psicologico-affettiva, deriva da un episodio accaduto nel 1973 presso la Sveriges Kreditbank della capitale svedese, dove due rapinatori presero in ostaggio tre donne e un uomo e li tennero prigionieri per 130 ore nella camera di sicurezza dell’istituto bancario.

In quel frangente, accadde che le quattro vittime del sequestro svilupparono con i rapitori un legame talmente intenso che, anche dopo il rilascio, si mostrarono più grati verso di loro che verso la polizia che li aveva liberati. Addirittura, durante il processo alcuni degli ostaggi deposero a favore dei due rapitori, invocando anche la clemenza per loro.

 

Cos’è la sindrome di Stoccolma e come si manifesta

La sindrome di Stoccolma è un particolare stato mentale di dipendenza che si verifica quando la vittima di un episodio di violenza, fisica o psicologica, prova verso l’aggressore un paradossale sentimento positivo di empatia, che lo spinge ad avvicinarsi emotivamente a lui. In alcuni casi, questo sentimento può diventare anche molto profondo, spingendosi fino alla gratitudine, all’affetto e persino all’amore.

 

Perché si verifica

Il meccanismo per cui la vittima sviluppa un simile atteggiamento non è ancora del tutto chiaro, così come non è facile diagnosticare che un soggetto soffra di questo disturbo.

Si ipotizza che il comportamento del soggetto in esame sia una sorta di adattamento inconscio ad una situazione di pericolo, un atteggiamento di autodifesa che, unito al tempo trascorso insieme al rapitore, agevola l’instaurarsi di un rapporto di alleanza.

Soprattutto se il trattamento riservato dal rapitore alla vittima, durante il sequestro, non è caratterizzato da violenze, il soggetto rapito percepisce una situazione di relativa stabilità fisica ed emotiva.

In simili condizioni, è più facile che questa situazione sfoci nello sviluppo della sindrome di Stoccolma e il soggetto che ne è colpito può continuare a provare gli stessi sentimenti positivi, verso il rapitore, anche dopo che l’episodio di sequestro si sia concluso.

 

Condizioni e situazioni in cui si verifica

Alcune volte il soggetto vittima di un rapimento percepisce il pericolo e immagina che solo cooperando con il rapitore può tenere al sicuro sé stesso o proteggere i propri familiari da eventuali ritorsioni: tutto ciò lo spinge a stringere un’alleanza anche tacita con il rapitore, mostrandosi arrendevole e paziente.

In altri casi, il rapito interpreta i gesti di normale accudimento come gentilezze nei suoi confronti e si sente grato al rapitore per il solo fatto di essere trattato bene: in questo modo si convince che il rapitore merita la sua fiducia, piuttosto che il suo timore o il suo disprezzo.

Anche l’isolamento contribuisce ad accentuare questa sensazione di legame: vivere con il solo rapitore per lungo tempo, porta inconsciamente la vittima a credere che l’unica prospettiva utile sia adattarsi a quella coabitazione, non avendo certezza del futuro.

 

Come si cura la sindrome di Stoccolma

Il rientro alla normalità, dopo un periodo di prigionia, può essere molto difficoltoso, soprattutto se vi è il ragionevole sospetto che il rapito abbia sviluppato la sindrome di Stoccolma: in questo caso, infatti, il soggetto vede la liberazione come una separazione dalla persona a cui si sente emotivamente legato e sviluppa una sorta di dipendenza dal suo ricordo.

È chiaro che una simile condizione psicologica non è facile da superare: la guarigione di chi soffre della sindrome di Stoccolma può arrivare solo dopo una lunga psicoterapia, supportata dall’affetto e dalla comprensione delle persone più vicine e, in alcuni casi, anche da una terapia farmacologica.

 

Conclusioni e qualche suggerimento

Non è affatto utile contrastare l’atteggiamento del soggetto che soffre della sindrome di Stoccolma, disapprovando i suoi comportamenti e mostrando incomprensione dei suoi sentimenti.

Chi viene coinvolto in questa condizione emotiva e mentale, si sente comunque sotto pressione e un comportamento non amorevole o autoritario lo disorienterebbe, spingendolo emozionalmente ancora di più verso il rapitore.

Bisogna invece ricordargli spesso l’affetto che le persone vicine a lui provano, da sempre, nei suoi confronti e rassicurarlo sulla comprensione e il sostegno che gli verranno dati.

Comunicare con lui il più possibile, quindi, rispettando i suoi tempi e modi, è la maniera più efficace per instaurare un rapporto ex novo che sostituisca quello che il soggetto ha costruito con il rapitore durante il periodo di prigionia.