Amniocentesi e villocentesi a confronto

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Amniocentesi e villocentesi sono due tecniche di diagnosi prenatale, che permettono di risalire ai cromosomi del feto mediante un’indagine citogenetica. La prima prevede un prelievo del liquido amniotico, la seconda un prelievo dei villi coriali dalla placenta.

Sono esami che consentono di stabilire con certezza la presenza di anomalie cromosomiche nel feto, a differenza di translucenza nucale e duo test che possono fonire solo un esito di probabilità. I rischi nell’effettuare questi esami sono per la madre contenuti, equivalenti a quelli di un piccolo intervento chirurgico, mentre per il feto i rischi di aborto riguardano per lo più l’epoca gestazionale in cui vengono effettuate tali procedure e non sono legati alla metodica stessa (non si legano nemmeno con la pratica di crioconservazione del cordone ombelicale).

La villocentesi è una tecnica di indagine intrauterina, più precisamente il prelievo dalla placenta di una quantità di villi coriali, ossia prolungamenti vascolarizzati generati dallo strato di cellule embrionali. Questo esame si effettua tra la 10ª e la 13ª settimana di gestazione, con l’ausilio di un ago introdotto attraverso l’addome materno, che aspira per una manciata di secondi alcuni frammenti di villi. La villocentesi serve per svolgere uno studio dei cromosomi o uno studio del DNA al fine di individuare patologie genetiche.

 

Amniocentesi: validità, eticità e rischiosità

 

Tra i tanti esami diagnostici che i ginecologi raccomandano in gravidanza c'è l'amniocentesi, di cui spesso si discute circa l'eticità, la validità e la rischiosità. Questi sono i tre elementi da mettere sul piatto della bilancia prima di accettare di eseguire l'esame.

Prendendo in esame i tre punti cruciali per l'amniocentesi, si può fare un analisi approfondita circa questa metodologia. Si parla di validità dell'amniocentesi perché è sicuramente l'unica analisi in cui si può avere una diagnosi precoce e certa circa problematiche specifiche del feto: malformazioni del cariotipo, come la nota sindrome di Down, problemi legati alla produzione di enzimi e malattie genetiche come la fibrosi cistica o la talassemia.

La rischiosità invece è un elemento a sfavore dell'amniocentesi: dopo il prelievo del liquido amniotico la donna può abortire sia per via delle contrazioni uterine che si vanno ad innescare, oppure può contrarre delle infezioni alla placenta dovute alla puntura, che portano alla morte del feto. Per quanto le statistiche parlano del solo 1% dei casi di aborti naturali avvenuti dopo aver effettuato l'esame diagnostico, c'è da ricordare che non tutte le donne che si sottopongono ad amniocentesi, comunicano alla struttura dove è stato eseguito l'esame, se la gravidanza è andata a buon termine.

 

L'eticità, invece, è un tasto più delicato: infatti chi si sottopone ad amniocentesi deve fare i conti con l'idea che, in caso di esito positivo – che quindi il futuro bimbo- possa nascere con eventuali problemi che non gli garantiscano una vita normale, possa decidere di interrompere entro le settimane successive, previste dalla legge, la gravidanza.

 

L'amniocentesi si esegue sia in centri pubblici che privati. Alla neomamma viene prelevato tramite una siringa con un ago più spesso del normale, una dose di liquido amniotico, attraverso l'addome usando come monitoraggio la sonda dell'ecografia. L'esame dura meno di dieci minuti e stando rilassati si accusa solo il fastidio della puntura.

 

Va eseguita tra la 16esima e la 18esima settimana, oppure in casi particolari anche alle 25esima settimana. Per le donne che superano i 35 anni d'età, la pratica dell'amniocentesi è altamente consigliata ed è finanziata dalla propria USL; mentre per chi è più giovane e non ha alcun tipo di patologia, il costo dell'amniocentesi varia tra i 500 e i 700 euro.

 

Come favorire l’intervento

Eseguire l'operazione a riposo fa in modo che l’utero sia posto in condizioni di rilassamento e permette a chi la pratica di introdurre l’ago nell’addome con meno rischi per il feto.

Guidato da un’ecografia, l’ago viene inserito nel sacco gestazionale per il prelievo di alcune gocce di liquido; poiché l’oggetto non deve entrare in contatto con il feto è necessario che il contenuto sia nella migliore condizione di stabilità possibile.

Oltre al praticare l'intervento a riposo, ulteriori fattori stabilizzanti sono l’osservare un digiuno preventivo e il farla tra la quindicesima e la diciottesima settimana di gestazione, durante la quale i rischi di aborto sono al minimo e si ottengono i risultati più affidabili con la coltura delle cellule prelevate.

 

Quando effettuarlo?

Posto che vanno sempre rispettate le indicazioni come il praticare l’amniocentesi a riposo e a digiuno, essa si rivela particolarmente importante quando il feto è maggiormente esposto a malattie, ovvero nei casi in cui:

 

  • la futura madre ha più di 35 anni;
  • è stata riscontrata una malattia genetica in un precedente figlio;
  • la gestante è in ansia per la gravidanza (durante la gestazione, mai sottovalutare l’importanza di uno stato d’animo sereno);
  • vi sono in famiglia malattie genetiche o anomalie nei cromosomi ereditabili;
  • sono stati riscontrati aborti spontanei per motivi genetici o dei cromosomi;
  • un esame precedente ha mostrato rischi di malattie che vanno verificati in un tempo successivo.

 

I rischi reali?

Purché nelle condizioni di digiuno e riposo, l’amniocentesi può essere eseguita sia in strutture pubbliche che private.

Indipendentemente da chi svolga l’operazione, si devono eseguire delle analisi preliminari atte a verificare che non vi siano infezioni o complicazioni che possano compromettere la nascita del bambino.

Statisticamente l’aborto a seguito di questa pratica oscilla tra lo 0,5 e lo 0,9%; è fondamentale comprendere che questo non è un fattore di rischio matematico in quanto è in larga parte determinato da chi effettua l’operazione.

Il consiglio per chi dovesse ricorrervi è di cercare istituti che abbiano un’esperienza in questo campo consolidata, per poter ottenere delle analisi liberi da timore.